Siamo
passati dall’epoca della casa a quella dell’arredo, dall’avere una casa
cambiando gli arredi al cambiare la casa tenendo gli arredi.
La
casa è stato il sogno concreto fino alla generazione di mio padre, un
francobollo di mondo da recintare e su cui accatastare mattoni, formando muri e
tra loro le stanze.
A
noi, figli trentenni di questa generazione, tutto ciò appare inaccessibile e non
rimane che aggrapparci al nostro unico sogno, al nostro capitale, l’arredo
appunto, i mobili, che in quanto mobili si spostano! da una casa (nella
migliore delle ipotesi) all’altra e di cui nulla possediamo, ne corpo ne anima.
E’ solo il contenitore di turno della nostra collezione privata accumulata in
anni, in sabati interi passati come zombie nell’aria pesante e sudaticcia
dell’Ikea e da cui usciamo quando ormai è buio, come partoriti.
Arriva
il momento in cui il set è completo,
cucina
completa? Ce l’ho
camera?
Ce l’ho
soggiorno?
Ce l’ho
attrezzi,
accessori e quant’altro? Tutto a posto.
E
ogni trasloco diventa sempre più grosso, dal primo che porta con se solo i
vestiti, i cd, uno stereo e il pc al quarto per cui non è sufficiente un
container.
Ma
per andare dove?
Altra
sfida, nuova casa, stessi arredi. Difficile trovare una casa che sappia
ospitare ad arte la tua collezione di mobilia; la cucina è troppo lunga,
l’armadio pure, per il divano non c’è posto e quel verde come lo combino? E ad
ogni passaggio le possibilità di trovare un contenitore adatto si riducono. Al
quinto cambio si rischia lo stallo.
Ma
allora perché al posto dei condominietti gialli e verdi non si realizzano delle
scatole vuote e luminose? Dei loft aperti con grandi vetrate dotati solo del
bagno, in cui ognuno possa approdare, dopo 8 traslochi, con il suo tir e
sentirsi forse a casa.
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